di Simona Pacini
Ormai è un mese che aspetto di ricevere una querela per un articolo che non ho scritto. Probabilmente dovrò aspettare che finiscano le feste perché, si sa, a Natale siamo tutti più buoni.
Quel che è buffo, però, è che la mia colpa sarebbe proprio quella di aver screditato il Natale. O, più precisamente, alcune professioniste del Natale (delle quali, sia detto, fino a un mese fa ignoravo del tutto l’esistenza e ancora oggi non ho la minima idea di chi siano).
Questa storia inizia all’incirca un mese fa, tra il 24 e il 25 novembre, giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne.
E questo che c’entra? C’entra, c’entra…
Sui social si parla ormai da mesi di un argomento che mi interessa al pari della vita sociale delle zecche, cioè zero. Il caso è scoppiato in estate quando i numerosi iscritti a una pagina Facebook a un certo punto hanno ricevuto la notifica che il nome di quella pagina era cambiato. Da Natale in un certo posto era improvvisamente diventato Natale in un altro posto.
L’argomento accende gli animi. E anche qui ci sarebbe da farsi alcune domande, ma passiamo oltre. Poi, verso la metà di novembre, all’accensione degli animi si aggiunge quella delle lucine natalizie. In un comune prima, in un altro dopo, in un altro ancora forse.
Ed è allora che si verifica un fatto, le cui motivazioni resteranno sicuramente oscure anche al re degli antropologi. Nel primo comune scoppia la discussione. Sui social, ma probabilmente anche in ambiti meno virtuali.
La città si divide in due fazioni, quella delle lampadine accese troppo presto e quella che la piazza non era mai stata così bella.
Tempo una settimana, e anche il secondo comune accende le sue lucine, molto più belle e grandi e ricche, perché è un comune che storicamente abbonda più dell’altro.
Le fazioni si surriscaldano. Meglio le nostre, anche loro le hanno accese un po’ presto ma dopo di noi, e così via.
In tutto questo, un opinionista locale che scrive, pare, sotto pseudonimo, si lancia nell’impresa di stilare un articolo ironico sul derby di Natale.
Non ho capito bene perché, ma l’articolo fa dare fuori di matto un bel po’ di gente, tanto che il giorno dopo esce la seconda puntata con alcune puntualizzazioni.
La cosa più incredibile, in tutto questo bailamme natalizio, è che l’articolo viene attribuito a me, e tutti sembrano sapere che dietro a quello pseudonimo ci sono io.
Ma perché tutti lo sanno? Perché un po’ di tempo prima, il nuovo guru della comunicazione cittadina l’ha capito e lo ha fatto sapere al mondo.
L’esegesi è stata semplice, a sentir lui, poiché il mio stile e quello dello pseudonimo sarebbero uguali. Aiuta poi il fatto che sia io che lo pseudonimo sembriamo far parte di quella fetta della popolazione tanto invisa al potere odierno, poiché non ossequiante.
Il guru de noantri poi ha anche le sue fonti. Infatti, come dichiara egli stesso, lui consulta le faq dell’ordine dei giornalisti.
Ragion per cui non resta spazio per alcun dubbio. Lo pseudonimo sono io.
Come ha cantato qualcuno, una notizia un po’ originale non ha bisogno di alcun giornale. Ed è così che, di bacheca in bacheca, sono stata incoronata titolare dello pseudonimo.
Che questa notizia si era diffusa capillarmente l’ho scoperto sui social proprio tra il 24 e il 25 novembre, con l’uscita dei due famosi articoli.
«La signora stavolta ha esagerato», ha scritto una tipa nei commenti. Poi sono arrivate le protagoniste del Natale traslocato, insieme ai parenti, che hanno cominciato a parlare di “sedi opportune”. D’altra parte, aggiungevano, che si trattasse di una donna non c’era alcun dubbio, visto lo pseudonimo. In realtà questo sarebbe al maschile, ma non so per quale ragione veniva declinato al femminile.
Poi sarà che quel guru ha una certa presa. Altrimenti che guru sarebbe.
Intanto dalle “sedi opportune” si è passati al giorno della violenza contro le donne. La sentenza social era che mi sarei dovuta vergognare (io) a schierarmi contro due donne, due imprenditrici che fanno solo il loro lavoro, proprio nel giorno della violenza contro le donne.
Un maltrattamento, naturalmente, che va a senso unico. Non sia mai che a qualcuno venisse l'insana idea che lo stesso sia stato riservato, in quanto donna e in quanto destinataria di una falsità assoluta, anche a me.
In ogni caso, le sedi opportune per ora tacciono, così come le querele paventate.
E tutta la letteratura prodotta in quei giorni di fuoco, puf, è sparita. O forse non posso accedervi io in quanto colpevole designata e quindi bloccata, bannata dai profili delle presunte “vittime”.
In tutto questo inutile pasticcio sul Natale più bello del mondo vorrei chiudere con una storiella divertente (almeno per i cattivi della mia razza).
A metà dicembre il teatro cittadino ha ospitato un giovane influencer toscano, tale Andrea Di Raimo detto Shamzy. Negli stessi giorni sul suo profilo Instagram è uscita una storia in cui il tipo, con la verve che lo caratterizza, si finge il sindaco di un paesotto calabro per coglionare i “colleghi” che buttano vagonate di soldi pubblici in illuminazioni natalizie.
Non credo si riferisse a noi, ma se in giro trovo delle faq che lo spiegano vi faccio sapere.
PS. I casi della vita. L’altra sera ero in attesa dal dottore e alcune persone parlavano espressamente del guru. Nome, cognome, famiglia e progetti futuri, pare faraonici.
Qui più che alle faq però darei la colpa al karma…
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Pur appellandoci al diritto giornalistico che consente di tenere riservati fonti e autori che scelgono di celare le proprie identità con gli pseudonimi, come direttore responsabile di questa testata confermo che Geronimo Merollo non è uno pseudonimo usato da Simona Pacini per pubblicare corsivi su questo giornale.
Il direttore responsabile
Andrea Settefonti
